MATTARELLA, L’INNOVATORE

Sulla pagina FB del PD Sicilia e dell’Unione di Palermo, abbiamo ricordato oggi Piersanti Mattarella ascoltando alcune testimonianze qualificate: Giorgio Chessari deputato Ars del PCI durante l’ultima legislatura Mattarella, Sergio D’Antoni allora segretario Cisl Sicilia, Mommo Giuliana e Rino La Placa amici e politici impegnati al fianco di Piersanti, Giuseppina Terranova dirigente dell’Assessorato Bilancio nel periodo in cui Mattarella ne fu assessore. L’incontro, aperto dal segretario regionale Barbagallo è stato moderato dal capogruppo all’ARS Giuseppe Lupo e chiuso dall’intervento di Nicola Oddati coordinatore della Segreteria Nazionale del PD.
Pubblichiamo un contributo di Pierluigi Basile che ricostruisce una fase dell’impegno politico di Piersanti Mattarella a cui hanno fatto riferimento molti degli interventi di oggi pomeriggio.

MATTARELLA: IL DEMOCRISTIANO NUOVO: “CARTE IN REGOLA” E REGIONALISMO MERIDIONALISTA
di Luigi Basile

La definitiva collocazione politica di Mattarella nel partito democristiano maturò sul finire degli anni Sessanta quando alla vigilia dell’XI congresso del partito Aldo Moro – legato alla sua famiglia da una antica amicizia col padre – decise di fondare una corrente autonoma. Nel 1969 così egli si impegnava a costruire anche in Sicilia una corrente morotea che negli anni seguenti divenne sotto la sua abile guida una minoranza piccola (poteva contare in media sull’8-10% dei delegati provinciali e regionali) ma altrettanto agguerrita ed influente. Il politico pugliese rappresenterà invece per lui un maestro e una bussola per orientare la sua azione politica nella direzione della “democrazia progressiva” e di un moderno Stato sociale da costruire allargando le basi della partecipazione popolare alla responsabilità della cosa pubblica e puntando al coinvolgimento nel governo delle forze socialiste e, in seguito, anche di quelle comuniste. Nell’aprile 1969 su iniziativa di Mattarella fu costituita inoltre l’Associazione siciliana amministratori enti locali (ASAEL): l’associazione – della quale lo stesso Mattarella fu il primo presidente – si muoveva nel solco sturziano della valorizzazione delle autonomie locali e del decentramento amministrativo, obbiettivo verso il quale egli continuò a guardare anche in seguito, come dimostrerà con la sua azione di governo nel corso della presidenza regionale. Furono però gli anni Settanta il terreno sul quale si dispiegò compiutamente il pensiero e l’attività politica del giovane democristiano.

Fin dal 1971 il “voto nero” aveva lanciato un pericoloso segnale che presto Mattarella colse, chiedendo con forza un rilancio del centro-sinistra – ormai anche nell’isola da tempo in declino – che era chiamato a recuperare «un significato riformatore per una coraggiosa eliminazione di talune vistose sperequazioni» presenti ancora nel paese. In questo contesto la Democrazia Cristiana – ormai diventato un «partito clientelare di massa» (l’espressione è tratta da Mario Caciagli) – doveva riprendere il timone dell’iniziativa oltre che slancio ideale e programmatico, e cominciare a liberarsi dall’ansia di potere e dalle gravose (e criminali) ipoteche che condizionavano il suo cammino. La nuova DC che Mattarella nei suoi interventi ereditava i tratti del pensiero classico del cattolicesimo democratico e rispecchiava quelli del progetto moroteo: il partito dei cattolici era considerato uno strumento di collegamento tra la dimensione civile e quella istituzionale, aperto alla dialettica politica e pronto a raccogliere e mediare stimoli ed esigenze espresse dalla società. A dimostrare però quanto fossero ancora distanti le parole dai fatti e quanto lunga e difficile fosse la strada del cambiamento c’erano alcuni episodi inquietanti e contraddittori come l’elezione a sindaco di Palermo nell’ottobre 1970 di Vito Ciancimino.

Attorno a Piersanti Mattarella intanto cominciava a raccogliersi una nuova generazione di cattolici, giovani studiosi e professionisti, volti nuovi (tra questi Salvatore Butera, Leoluca Orlando, Andrea Piraino, Franco Teresi) interpreti dei fermenti di rinnovamento presenti nella società cattolica post-conciliare. Nel 1971 prese forma da questa esperienza, sorta inizialmente come collaborazione informale e cenacolo ristretto, quello che in seguito verrà chiamato il “gruppo Politica” e che rappresentava una delle maggiori espressioni di novità in un panorama cattolico siciliano in trasformazione grazie anche al contributo del nuovo arcivescovo di Palermo Salvatore Pappalardo o per il ruolo assunto da una importante rivista come «Segno» e ancora dal Centro di formazione politica “Pedro Arrupe”. Il gruppo non fu semplicemente lo stato maggiore della corrente mattarelliana, ma una attiva avanguardia che promosse un modo nuovo di fare politica, mescolando riflessione culturale e approfondimento su specifici temi politici e legislativi, aprendosi al contributo di studiosi di diversa provenienza e formazione, come Piero Barucci, Gabriele De Rosa, Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Giuseppe Giarrizzo, Francesco Renda e Napoleone Colajanni.

Con gli impegni istituzionali assunti a partire dal 1971 emergeva sempre più chiaramente il profilo politico-amministrativo che avrebbe contraddistinto Mattarella da buona parte del ceto politico democristiano meridionale, costituito da mediatori impegnati a mettere in relazione le comunità locali e lo stato centrale mediante la gestione delle risorse pubbliche. La figura di Mattarella poteva essere accostata a quella di Ezio Vanoni e di Luigi Sturzo per la solida formazione culturale irrobustita da anni di riflessione ed esperienza durante i quali aveva sempre dimostrato grande attenzione per la dinamica delle istituzioni ed era intervenuto con competenza grazie alla piena padronanza del linguaggio e degli strumenti legislativi e amministrativi. Già sul finire della VI legislatura dell’Assemblea regionale Mattarella era stato l’artefice – in qualità di membro della Commissione finanze – del provvedimento forse più rilevante degli governi del periodo, la legge di riforma burocratica (n. 7 del 25 marzo 1971): questa innovava la struttura amministrativa regionale sostituendo il precedente assetto piramidale e gerarchico con uno orizzontale, cosa che consentiva una maggiore funzionalità e assegnava maggiori responsabilità al personale, nello stesso tempo portando ad un sensibile risparmio per il bilancio regionale. Ma il banco di prova dove misurare le proprie competenze tecniche e le intenzioni di riforma fu certamente rappresentato dal periodo trascorso come assessore al bilancio, incarico che ottenne dopo la riconferma al parlamento siciliano e mantenne per tutto l’arco della legislatura (1971-76). La situazione che si trovò di fronte era il prodotto di un passato colmo di inefficienze e speculazioni, come testimoniavano i bilanci di previsione immobilizzati dalle leggi di spesa, l’assenza di rendiconti, una grossa mole di residui passivi. Dinanzi a questi problemi maturò l’idea-guida, sempre presente nel pensiero e nell’azione di Mattarella, che lo stesso sintetizzava nella formula delle “carte in regola”. Si trattava di mettere ordine cominciando col presentare nei termini di legge i rendiconti, approvando i bilanci alle scadenze previste e legando questi documenti entro un quadro di programmazione che voleva ottenere come risultato una razionalizzazione della spesa pubblica volta a dare trasparenza all’azione pubblica.

La programmazione – tema che tornò ad imporsi con forza negli anni Settanta – divenne la parola simbolo e il punto di convergenza delle maggiori forze politiche (DC, PSI e PCI) per lanciare un’ipotesi di sviluppo dell’economia e fronteggiare i pesanti effetti della crisi del 1973 sul fragile apparato industriale dell’isola. L’idea di «governare secondo un programma» appresa da Saraceno si tradusse nel Piano regionale degli interventi, uno dei maggiori frutti del pensiero politico-amministrativo di Mattarella, che lo illustrò anche all’Assemblea regionale presentandolo come un tentativo di razionalizzare gli investimenti (circa 1.080 miliardi di lire) in una visione poliennale e programmata delle risorse finanziarie della Regione che abbracciava il periodo 1975-80. Mattarella si confermava uno dei maggiori interpreti della programmazione, che, intesa anche come terreno scelto per negoziare i termini della presenza congiunta e coordinata della Regione e dello Stato, fu un tratto di fondo del suo meridionalismo. Intanto con la nascita delle regioni a statuto ordinario (1970) era cambiato anche il quadro istituzionale entro cui inserire la battaglia per lo sviluppo dell’isola. Mattarella non tardò a capire che erano maturi i tempi per sviluppare iniziative operative che permettessero alla Sicilia di rompere l’isolamento del passato costruendo una posizione unitaria con le altre regioni meridionali per superare insieme le vecchie impostazioni particolaristiche e le spinte territoriali e settoriali.

La questione meridionale era letta e interpretata da Mattarella nella sua doppia dimensione di problema politico ed economico che andava affrontato in costante rapporto tra i soggetti istituzionali regionali e lo Stato centrale. Per quanto riguarda l’aspetto politico, come lui stesso affermava, si trattava di creare una «forza di pressione nel Sud capace di controbilanciare le spinte e le sollecitazioni che sull’apparato politico-burocratico [esercitava] la struttura socio finanziaria del Nord». Per questo fu tra i principali promotori della prima Conferenza delle regioni del Mezzogiorno che si tenne a Palermo nel gennaio 1971, iniziativa alla quale fecero seguito gli incontri di Cagliari (1972), Napoli (1975) e Catanzaro (1976). Ma fu certamente con la nascita del Comitato dei rappresentanti delle regioni meridionali (istituito con legge n. 183 del 1976) che Mattarella acquisì una indiscussa leadership sul fronte del “regionalismo meridionalista” divenendo una sorta di portavoce delle regioni meridionali. Dal punto di vista economico invece le sue proposte nascevano sempre da una attenta e rigorosa analisi della realtà. Il mancato sviluppo del Mezzogiorno si configurava come strettamente connesso al debole e distorto decollo industriale in questa area del paese, e le sue cause erano attribuite al naufragio della programmazione, al rapporto distorto tra intervento pubblico e mercato, alla contestazione di principi e metodi dell’intervento straordinario, che con il tempo si era sostituito e non aggiunto alla spesa ordinaria dello Stato per il sud. Mattarella pertanto auspicava una riforma della Cassa del Mezzogiorno, che proponeva di trasformare in una specie di IRI per le regioni meridionali, e chiedeva un nuovo protagonismo dell’operatore pubblico per ovviare alla storica carenza di risorse private e di imprenditorialità.

Interventi, investimenti e progetti dovevano comunque essere inseriti in una visione unitaria e programmata dello sviluppo del Mezzogiorno mentre bisognava necessariamente superare l’impostazione improvvisata del passato che aveva generato le tanto inutili quanto deprecate “cattedrali nel deserto”. In questo senso appariva chiaro quanto espresso da Mattarella nel luglio del 1978 in una lettera pubblica all’allora segretario nazionale DC Benigno Zaccagnini a proposito di un progetto per la costruzione di un ponte sullo stretto di Messina: «Non vorrei che questa realizzazione, ammesso che venga fatta ed in ogni caso senza apporti finanziari della Regione Siciliana, finisca per diventare l’ennesima cattedrale nel deserto, la cui grandiosità dovrebbe servire a mascherare altre più gravi carenze. Altro sarebbe poter valutare un’opera di tale consistenza in un contesto programmato di sviluppo, che logicamente andrebbe avviato preliminarmente».

Per una più ampia biografia politica rimandiamo a Pierluigi Basile, Le carte in regola: Piersanti Mattarella, un democristiano diverso, Centro studi Pio La Torre, Palermo, 2010 (I ed. 2007),  e all’articolo, dello stesso Basile, «Un democristiano siciliano “diverso”. Il pensiero e l’opera di Piersanti Mattarella», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea. n. 3, 2|2010: Segnaliamo il recente volume di Antonio La Spina (ed), Piersanti Mattarella. La persona, il politico, l’innovatore, Il pozzo di Giacobbe 2020, che contiene, tra gli altri, contributi di Rino la Placa, Pasquale Hamel, Andrea Piraino, Pierluigi Castagnetti, Luciano Corradini.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *